Il sexting quale strumento di vendetta: attenzione al revenge porn

sexting e revenge porn

Il sexting quale strumento di vendetta: attenzione al revenge porn

Nella parola sexting vengono ricompresi molteplici comportamenti di natura sessuale.

Da un lato, tale termine viene utilizzato per riferirsi alle condotte – solitamente poste in essere da minorenni nell’ambito di un rapporto di natura privata – di produzione, di possesso ovvero di cessione di una immagine o di un video pornografici autoprodotti e successivamente inviati ad un amico o al partner (c.d. sexting primario). 

Dall’altro, tale termine è impiegato per indicare la cessione o la diffusione non consentita a terzi di contenuti pedopornografici da parte di chi li aveva ricevuti (c.d. sexting secondario). Questa seconda tipologia di sexting si realizza spesso al termine di un flirt amoroso tra ragazzini e viene posta in essere per deridere o umiliare la persona ritratta. 

Il sexting, se usato come strumento di vendetta, viene definito come revenge porn e riguarda anche gli adulti. Con tale termine, si indica l’atto di condivisione di immagini o video intimi di una persona senza il suo consenso allo scopo di danneggiarla e di ferirla. Proprio per reprimere tale tipo di comportamento vendicativo, finalmente la L. n. 69/2019 (“Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, c.d. Codice Rosso) – pubblicata in G.U. il 25 luglio 2019 ed entrata in vigore il 9 agosto 2019 – ha introdotto, all’art. 612 ter del nostro codice penale, una nuova fattispecie di reato rubricata «Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti». Tale articolo sanziona, con la pena della reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000, la condotta di “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza l’espresso consenso delle persone interessate, immagini o video sessualmente espliciti, destinati a rimanere privati”.

Dal punto di vista criminologico, in questi casi ci troviamo di fronte ad una forma avanzata di cyberbullismo infatti il materiale pornografico può essere carpito:

  1. Riprendendo di nascosto la vittima durante alcuni momenti privati (rapporto sessuale, bagni, spogliatoi ecc…);
  2. Attraverso l’autoripresa di foto o video in pose sexy da parte della vittima e successivamente inviate dalla stessa a terzi;
  3. Attraverso l’hacking dello spazio cloud della vittima ovvero del suo dispositivo (es: pc o smartphone) anche attraverso la consegna spontanea di quest’ultimo (ad es. per l’invio in assistenza);
  4. Mediante la ripresa delle immagini intime durante un rapporto sessuale con il consenso della vittima.

Coloro che prendono parte attiva al sexting non sono sempre consapevoli dei rischi di tale comportamento perché le immagini pornografiche che hanno prodotto possono essere inviate a terzi e, dunque, fuoriuscire dalla loro sfera di controllo. Notevoli sono gli effetti negativi che il sexting può avere sul benessere psicofisico e sulla dignità delle vittime, anche a distanza di molti anni; a seconda del contenuto delle fotografie o dei video, infatti, possono derivare gravi offese alla reputazione della persona ripresa. La diffusione delle immagini o dei video intimi possono cagionare ferite psicologiche così profonde che possono portare la vittima anche a tentare il suicidio.

Concludendo, la principale pericolosità del sexting deriva dalla facilità con la quale le immagini di natura sessuale possono essere diffuse, senza il consenso del soggetto in esse rappresentato, ad un numero indeterminato di persone. Una volta che il materiale pedopornografico fuoriesce dalla sfera di chi lo ha prodotto o lo detiene, per il volontario invio a terzi ovvero per la perdita o il furto dei dispositivi mobili o dei supporti sui quali è salvato, è praticamente impossibile impedirne la propagazione.