GASLIGHTING

Il gaslighting è una forma di violenza psicologica.
Deriva il suo nome dal film “Gaslight” la cui trama riguardava la manipolazione dei ricordi di una donna da parte del marito il quale, portandola a credersi matta, sperava di riuscire a sottrarle alcuni beni preziosi.

È proprio questo il comportamento del gaslighter ossia convincere la vittima a dubitare di sé, della propria memoria e delle proprie azioni affinché diventi succube di chi la sta manipolando.
Solitamente l’azione del gaslighter si articola in tre fasi: in primis c’è la distorsione della comunicazione, l’agire per mandare la vittima in confusione, indicando come falsi i ricordi e/o smentendo azioni o dialoghi avvenuti tra i due.

A questo segue, da parte della vittima, il tentativo di aprire comunque un canale comunicativo per spiegare le proprie ragioni, smentire le parole del carnefice perché i suoi ricordi e le sue parole sono veri, non frutto di immaginazione o pazzia.
Nell’ultima fase la vittima è totalmente succube del suo manipolatore, cede a ciò che le viene raccontato, accetta di avere ricordi falsati e questo le genera sentimenti di depressione e vulnerabilità.

In Italia non esiste come condotta delittuosa il “gaslighting”, ma questo genere di comportamento potrebbe essere ricompreso nel più generale reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572 c.p. A livello sociale la consapevolezza dell’esistenza di questo fenomeno è importante tanto per le vittime quanto per le persone che le sono intorno.
Spesso non è facile comprendere da soli che si è oggetto di manipolazione, ma può servire aver accanto persone in grado di riconoscere il fenomeno e aiutare la vittima a chiedere l’aiuto necessario ed a riprendere la consapevolezza di sé e, conseguentemente, la propria vita in mano.